Giselle

Balletto in due atti

Musica Adolphe Adam

Libretto Théophile Gautier, Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges

Coreografia Jean Coralli, Jules Perrot

Prima rappresentazione: Opéra National de Paris, 28 giugno 1841

Non un balletto, ma il balletto

E’ facile innamorarsi di Giselle capolavoro del balletto romantico andato in scena il 28 giugno 1841, frutto di collaborazione di una grande squadra composta dalle più eminenti personalità dell’epoca, l’ideatore del balletto, famoso critico letterario e poeta Théophile Gautier, lo scrittore Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges, i coreografi Jean Coralli e Jules Perrot, il compositore Adolphe Adam, lo scenogrado Pierre Ciceri, la ballerina Carlotta Grisi. Oltre alle immortali coreografie possiede tutte le qualità di un lavoro per il teatro ben fatto: secondo il motto di Anton Cekhov “se un fucile è appeso al muro nel primo atto, nel secondo deve sparare”. Così Giselle.

Gautier prese l’idea da una leggenda di origini slave citata da Heinrich Heine nella sua opera De l’Allemagne che parla degli spiriti di fanciulle morte prima delle nozze. Di notte le villi – così vengono chiamate - si alzano dalle tombe e guai al viandante che varca la soglia del loro regno: lo fanno ballare finché non muoia stroncato dalla fatica.

Oltre a Heine, è ben nota l’altra fonte: il poema di Victor Hugo Fantomes che racconta di una giovane spagnola divorata dalla passione per la danza che muore all’alba dopo aver ballato per tutta la notte colta da un terribile raffreddore: “Amava troppo la danza, e questo l’ha uccisa”; infatti, all’inizio il primo atto del futuro balletto fu ambientato da Gautier in una magnifica sala da ballo che con il suo splendore aveva attirato le villi: la loro Regina avrebbe toccato il pavimento con il ramo magico incitando così gli invitati a un’infinita serie di danze e Giselle trascinata da questa passione esagerata, proprio come l’eroina di Hugo, sarebbe uscita dalla sala da ballo troppo accaldata e poco dopo morta.

Ma per quanto poetico, il piano di Gautier non funzionava dal punto di vista drammatico. Un incontro con un abile uomo di teatro, Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges, sistemò le cose: questo possidente della penna facile strutturò le scene, inventando molti personaggi di secondo piano e soprattutto procurando ”una bella morte” per Giselle, pazzia in seguito al tradimento, morte per cuore infranto. Così il primo e il secondo atto si erano ricongiunti: peccato però che il primo atto così perfettamente funzionale sapeva di banalità…

Al momento della creazione di Giselle, nel 1841, il balletto romantico esisteva già e aveva fornito una formula convincente con La Sylphide (1832) la quale, del resto, è facilmente riconoscibile nella sua sorella minore e decisamente più famosa: due atti, uno “reale” e uno fantastico, l’amore impossibile tra “lei” sovrannaturale e “lui” umano che conduce ad una tragica fine, l’ambientazione in un luogo che poteva mettere in risalto il colore locale e introdurre le accativanti danze folkloristiche, le atmosfere misteriose e i numerosi effetti scenici come i voli delle ballerine e le macchine speciali.

Ma l’immagine della donna ideale incarnata della Silfide era ancora innocente, mentre in Giselle, forse per la prima volta nella storia del balletto, la donna appare minacciosa e agressiva: basta pensare allo schieramento di villi che con i gesti imperiosi buttano nel lago il povero Hilarion, dopo averlo fatto ballare e morire di fatica. La danza quindi, come strumento di vendetta femminile: una cosa insolita e inquieta. Rischio di fornire una mia spiegazione: nell’epoca in cui fiorì il balletto romantico, Théophile Gautier stesso non vedeva in quest’arte altro che l’espressione “delle passioni”: “L’amore, il desiderio con tutte le sue civetterie; il maschio agressivo e la donna che gentilmente resiste – questi sono i soggetti di tutte le danze primitive”. Si può sentirsi tristi per la definizione così limitata dell’arte che amiamo tanto. Ma negli anni de La Sylphide e Giselle ballare con qualcuno significava dimenticare tutto tra le braccia dell’amato, abbandonarsi all’abbraccio del suo corpo. Non per nulla proprio nel balletto romantico cominciò a svilupparsi la tecnica delle prese e l’azione reciproca dei corpi di uomo e di donna nel passo a due si fece sempre più elaborata e complessa.

Giselle si affaccia alla vita leggiadra e ingenua, la sua esistenza è fatta di sole due cose: Loys e la danza, più esattamente, l’amore per Loys e l’amore per la danza. Lui cerca di sedurla tramite l’uso di grand jeté e ballotté; lei gli risponde timidamente “sì… no… forse” con una glissade. Ballare significa amare. Giselle si sente pronta all’amore, ma proprio nel momento della massima agitazione per l’attesa della felicità la sua vita viene stroncata da un inganno. L’amore non verrà mai coronato, dopo la morte Giselle si trasformerà in una villi, e la danza diventerà uno strumento di vendetta : non ho ballato abbastanza, non ho amato abbastanza e mi vendicherò di te facendoti ballare… Il discorso che vale per Myrtha, la regina delle villi, e per le sue suddite, ma non per Giselle: loro fanno morire un uomo tramite la danza, lei tramite la danza difende e alla fine salva l’infedele amato.

Le coreografie di Giselle furono frutto della collaborazione tra due persone, anche se sulla locandina apparse soltanto il nome dell’allora maitre de ballet dell’Opéra Jean Coralli. I contemporanei testimoniarono che tutti i passaggi cui prendeva parte la protagonista furono creati apposta per la giovanissima e bellissima Carlotta Grisi dal suo allora compagno Jules Perrot, “quel ballerino fine al quale era permesso di essere ballerino” (J. Janin) nell’epoca del dominio assoluto femminile e tra i più grandi coreografi di tutti i tempi. Ma Giselle è pervenuta a noi grazie alla memoria eccezionale ed ai saggi metodi di conservazione che erano di Marius Petipa, un coreografo marsigliese che trovò la seconda patria in Russia nei tempi in cui il balletto in Occidente si era avviato al declino. Nel 1884 rivisitò Giselle agendo con massimo rispetto e cautela e proprio a lui viene attribuito lo spettacolare Passo delle villi che si incrociano in arabesque: curiosamente chiamato in Russia “le aringhe” per la sua somiglianza con i pesci che salgono su per il fiume.

Oggi la coreografia di Giselle appare molto semplice dal punto di vista tecnico; all’epoca i trentadue fouetté e le triple pirouette sulle punte non erano ancora stati inventati e gli interpreti dovevano “accontentarsi” dei passi di base quali glissade, jeté, ballonné, ballotté, pas de basque etc. per Giselle, assemblé, sissonne ouverte, entrechat cinq etc. per Albrecht. L’arabesque, questa meravigliosa figura che mette in risalto un’incredibile bellezza e le formidabili capacità del corpo umano, appare come uno dei simboli di Giselle.

Nella carriera di una grande ballerina e di un grande ballerino arriva l’ora quando devono cimentarsi nei ruoli di Giselle e Albrecht: sì, le coreografie sono semplici, ma ci vuole un vero talento e una forte personalità per creare questi personaggi, lei, così innocente, fine, fragile e forte, lui, così superficiale all’inizio e profondamente trasformato alla fine grazie all’amore di lei che trionfa sulla morte.

“Più che un balletto, è il balletto, una certa idea del balletto incarnata in forme capaci di inflettersi, nella loro angelica labilità secondo gli ambienti in cui appare, senza mutare la loro essenza”,- con queste belle parole di Fedel D’Amico apparse nel suo articolo Una santa con le scarpe di seta vorrei finire questa breve introduzione nel mondo magico rappresentato da Giselle con la speranza che possano aumentare il vostro amore per la danza.

IRINA SOROKINA